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Calabria infelix: quando questione femminile e questione meridionale si sommano

di LUCA ANGELINI* 

Cosa succede quando questione femminile e questione meridionale si sommano? Può succedere quel che accade in Calabria, come segnalano su lavoce.info il direttore dell’Ufficio studi di Confcommercio, Mariano Bella, e il giornalista Giuseppe Cantarella. Se la media del tasso di occupazione femminile (ossia quante sono le occupate fra quelle in età da lavoro) è stata nel 2020, nell’Unione europea, del 62,4%, in Italia si scende al 52,7%, nel Mezzogiorno al 36,3% e in Calabria addirittura al 29%, meno di un terzo della media Ue. Un valore, oltretutto, peggiore di quello di una decina di anni fa: nel 2011 era al 31,3% (e la media Ue al 57,5%, segno che il divario, invece di restringersi, ha continuato ad allargarsi).


L’economia calabrese offre ovviamente meno possibilità di occupazione rispetto ad altre aree del Paese, ma ci sono altri dati che fanno capire la difficoltà aggiuntiva per le donne. «Per gli asili nido che accolgono i bimbi fino a tre anni, i dati evidenziano, nel 2019, un valore medio nazionale di 26,9 posti per 100 bambini, ancora distante da quel 33 per cento indicato dall’Ue in sede di Conferenza di Barcellona per sostenere la conciliazione della vita familiare e lavorativa e promuovere la maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Non sorprenderà, a questo punto, che, secondo Istat, mentre il Nord è prossimo a quel target del 33 per cento, il Mezzogiorno è al 14,5 per cento e in Calabria la quota è del 10,9». Non stupisce che «mentre nella fascia di età 25-49 lo scarto tra i tassi di occupazione delle donne con e senza figli è di 14 punti nel Centro Italia, nel Mezzogiorno è di 18 punti percentuali».

Se si passa al capitolo istruzione, ecco la fotografia: «Nel 2020, su un totale nazionale di oltre 4,4 milioni di laureate nella popolazione italiana tra i 15 e i 64 anni, in Calabria in questa condizione se ne contano 115 mila (il 2,6 per cento), a fronte di un’incidenza della popolazione femminile residente della stessa fascia d’età pari al 3,2 per cento. In Emilia Romagna, su una platea di eleggibili pari al 7,4 per cento, le donne laureate sono l’8,5 per cento del totale nazionale».

È difficile non concordare con Bella e Cantarella quando scrivono «c’è qualcosa, anzi molto, che non funziona, e non si può seriamente immaginare una crescita del prodotto potenziale del sistema-Paese, come si vorrebbe fare con il Pnrr, senza passare per la soluzione o almeno la riduzione di questi problemi nel mercato del lavoro, in particolare per le donne nel nostro Mezzogiorno». O quando aggiungono, sconsolati, che, nella situazione attuale, «alle donne del Mezzogiorno, specialmente in alcune regioni, lavorare non conviene. Ora, poiché la demografia gioca contro – sia come saldo naturale sia come saldo migratorio – o rendiamo più semplice, dignitoso e profittevole alle donne meridionali lavorare, oppure i divari col resto dell’Italia sono destinati a crescere. E senza Sud la stessa Italia resterà indietro nei confronti dell’Europa».

*Tratto dalla Newsletter del Corriere della Sera del 14/02/2022

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